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Malattie autoimmuni cutanee

Malattie autoimmuni cutanee

La cute è uno dei tessuti colpiti più frequentemente da processi infiammatori su base autoimmune.

Le malattie autoimmuni cutanee

Le malattie autoimmuni cutanee sono numerose: le Connettiviti (il Lupus Eritematoso, la Dermatomiosite, la Sclerodermia, lo Scleredema, la Policondrite ricorrente) e i loro sottotipi, le Malattie Bollose (Pemfigo, Pemfigoidi con le loro varianti) e la Dermatite Erpetiforme.

Meccanismi autoimmunitari si riconoscono di importanza primaria nella patogenesi di numerosi tipi di Vasculiti, della Psoriasi e di alcuni varianti di Orticaria.

La cute può essere l’unico organo colpito oppure il processo autoimmune può coinvolgere altri organi, come nelle Connettiviti e Vasculiti o interessare altre mucose (come nelle Malattie Bollose) oppure altri tessuti (come nella Psoriasi).

Questi aspetti richiedono una interazione con altri specialisti, per inquadrare e seguire accuratamente la malattia.

Connettiviti

Il dermatologo ha un ruolo primario nelle forme cliniche in cui la malattia si manifesta esclusivamente a livello cutaneo. Di esse discuteremo in articoli successivi.

Lupus eritematoso cutaneo

Lupus Eritematoso cutaneo

Nel caso del Lupus Eritematoso Cutaneo (con unico coinvolgimento cutaneo) si distinguono numerosi sottotipi clinici, che possono richiedere diversi approcci terapeutici:

  • la forma discoide localizzata
  • la forma discoide generalizzata
  • la forma ipertrofica/verrucosa
  • la forma mucosale (orale o congiuntivale)
  • la forma tumida
  • la forma tipo geloni
  • la forma lichenoide

La diagnosi si basa sul quadro clinico e sui reperti immunopatologici eseguti su biopsie di cute lesa e perilesionale con le tecniche di immunofluorescenza.

I risultati istopatologici confermano la diagnosi e quelli sierologici (immunologici e non) permettono un inquadramento generale della malattia. Occorre escludere l’interessamento extracutaneo, sistemico del Lupus eritematoso cutaneo e monitorare regolarmente il decorso della malattia sul piano clinico e biologico.

La storia clinica è molto importante, per definire misure preventive nei confronti di fattori di rischio, tra cui farmaci, alcuni ad alto rischio. come alcuni antifungini e antiipertensivi di uso frequente o altri a basso rischio, eventualmente importanti per alcuni pazienti. In tutti i casi va evitata l’esposizione solare e attuata una regolare e adeguata terapia fotoprotettiva.

Le lesioni del Lupus eritematoso cutaneo, se non diagnosticato e non trattato tempestivamente e opportunamente, tendono ad ingrandirsi ed a evolvere in forme atrofico-cicatriziali permanenti. Inoltre le lesioni tendono ad aumentare di numero, dando luogo alla variante disseminata. Le lesioni sono asintomatiche; il paziente non può non notarle, perché sono nella stragrande maggioranza dei casi nelle zone esposte (viso, mani, 1/3 superiore del tronco) e non regrediscono. Può sottovalutarle, non ricorrere allo specialista e quindi ritardare la diagnosi.

La terapia locale con corticosteroidi è la terapia elettiva di prima linea nelle forme localizzate; la scelta della molecola di cortisone, dell’eccipiente del preparato e della tecnica di medicazione spiegano spesso la estrema variabilità dei risultati ottenuti.

In alternativa o come seconda linea di trattamento, in alcune varianti cliniche, si usano gli inibitori della calcineurina (tacrolimus e pimecrolimus).

E’ sottolineato in tutte le analisi critiche, alla base di linee guida, che la mancata aderenza del paziente alla terapia locale è la causa maggiore di insuccesso ed è noto che l’aderenza si basa sul rapporto medico-paziente.

Nella variante disseminata della malattia è consigliato il trattamento concomitante con antimalarici, scegliendo la molecola e la posologia idonea al singolo caso. E necessaria la valutazione preventiva dei principali effetti collaterali degli antimalarici.

I cortisoni somministrati per via sistemica rappresentano i farmaci da usarsi nei casi di forme gravi e disseminate, con riduzione graduale da attuarsi dopo il controllo della malattia. In alcuni casi è utile l’associazione antimalarici-cortisone.

Nei casi disseminati e resistenti alle cure con i soli antimalarici viene associato il Metotrexate oppure, soprattutto nei casi caratterizzati da ipercheratosi/verrucosità, l’acitretina.

Il Dapsone è indicato nelle varianti bollose o nei casi resistenti, mentre il Micofenolato di Mofetile si riserva come terza linea di trattamento ai casi resistenti alle terapie ricordate.

Un posto delicato spetta alla Talidomide per i casi refrattari alle precedenti terapie. Con tutte le prudenze, il monitoraggio clinico soprattutto per l’incidenza di polineuropatie, i successi ottenuti sono indiscutibili.

In ogni caso, considerato il carattere cronico-ricorrente della malattia, è necessario prevedere terapie di mantenimento/prevenzione, da individuare per ogni singolo caso.

In conclusione il paziente con Lupus eritematoso cutaneo deve essere seguito con estrema cura, sottoposto a controlli periodici e a cicli terapeutici regolari.

Il primo dovere di un medico

Metodologie diagnostico-terapeutiche in dermatologia

Mi è sempre rimasto impresso un capolavoro cinematografico del regista svedese Ingmar Bergam Il posto delle fragole del 1957, che vidi quando studiavo Medicina all’Università di Pavia.

In particolare mi colpì il dialogo tra il vecchio Professore, il protagonista del film, che sogna di essere interrogato in un’aula universitaria per superare l’esame di stato. Alla domanda: Qual è il primo dovere del medico? balbetta qualcosa, non ricorda e l’esaminatore suggerisce la risposta: “Il primo dovere di un medico è chiedere perdono”.

Nel contesto del film questa risposta aveva una spiegazione nella storia personale e familiare del protagonista; ma assunse nel tempo un valore più ampio, valido certamente per ogni medico; ma anche per ogni uomo. Discutemmo molto tra compagni di studio su quella risposta così “speciale”; la medicina ha molte relazioni con le scienze umanistiche e negli anni ho incontrato e discusso con molti personaggi delle due culture di Snow (umanistica e scientifica), che cercano un dialogo tra le loro esperienze.

primo dovere medico

A distanza di oltre 50 anni, nell’epoca della medicina di precisione, delle terapie personalizzate sulla base delle conoscenze biomolecolari sulla fisiopatologia delle malattie, quella domanda e quella risposta rimangono centrali nel rapporto con il paziente. Certamente le conoscenze scientifiche sono talmente aumentate, che la risposta sui doveri del medico non può certo prescindere dalla necessità assoluta di un continuo aggiornamento e da risposte derivate dalla conoscenza “critica” del sapere medico.

Perciò sintetizzando al massimo il medico e il dermatologo hanno il compito di:

  • FORMULARE LA DIAGNOSI (avvalendosi delle procedure diagnostiche e delle tecnologiche disponibili riconosciute dalla comunità scientifica, filtrate dall’esperienza personale).
  • STUDIARE LE CAUSE (ricercandole attraverso specifici esami, sulla base delle conoscenze sulla/e causa della malattia).
  • PROPORRE LA TERAPIA (sulla base del quadro clinico specifico e generale del paziente e della sua storia clinica, nel rispetto generale delle linee guida proposte e approvate dalla comunità scientifica internazionale e, ove esistano, nazionali). L’obiettivo è una terapia tagliata sul caso clinico.
  • MONITORARE/CONTROLLARE il paziente (avvalendosi anche delle tecnologie disponibili via Internet, particolarmente utile nel valutare in tempo reale le lesioni cutanee e mucosali esterne). Questo passaggio è essenziale ad esempio nelle patologie croniche infiammatorie della cute.
  • PREVENZIONE DELLE MALATTIE (dove ciò sia possibile, ad esempio nel caso di lesioni neviche “atipiche”, che hanno una maggiore probabilità di trasformarsi in Melanomi) o delle RECIDIVE (ad esempio nella Dermatite/Eczema Atopico, nell’Acne severa, Rosacea).

Tutto questo DEVE essere spiegato al paziente, discusso con il paziente, per stabilire un rapporto di fiducia reciproco (l’alleanza medico-paziente) e ottenere una migliore aderenza alle cure.

La presenza di alcune ottime associazioni nazionali di pazienti anche in dermatologia, che hanno siti aggiornati e offrono occasioni di incontro facilita il rapporto medico/paziente e concorre a filtrare le “informazioni” da siti Internet senza controlli di qualità e spesso privi di verità scientifica.

Queste regole mi sono state insegnate, le ho insegnato e insegno e le applico al meglio delle mie conoscenze nella professione.

Diagnosi e terapia del Pemfigo: nuove linee guida

Le linee guida sulla diagnosi e terapia del Pemfigo, approvate e pubblicate recentemente (2015 e 2016) dalle Società Europee di Dermatologia più rappresentative (EADV e EDF), fatte proprie dalla società Americana di Dermatologia (AAD), la revisione critica della letteratura scientifica più recente permettono di discutere e aggiornare alcuni aspetti fondamentali della malattia, utili anche per i pazienti e le loro famiglie.

pemfigo

Va ricordato che il Pemfigo, malattia su base autoimmune, si presenta sotto diverse varianti cliniche:

  • Pemfigo Volgare
  • Pemfigo foliaceo (e la varietà più rara di Pemfigo Eritematoso)
  • Pemfigo paraneoplastico/sindrome paraneoplastica autoimmune
  • Penfigo vegetante
  • Pemfigo Ig-A

Spesso i pazienti chiedono quale è (sono) l’esame (gli esami), che confermino il sospetto clinico. Va ricordato che l’esordio della malattia è molto spesso subdolo, specie nelle forme che esordiscono alla mucosa orale, sotto forma ad esempio di gengivite ricorrente, con lesioni simil-aftosiche o di abrasioni della mucosa geniena a livello della linea interdentaria. In questi casi si pensa a lesioni traumatiche, irritazioni e infezioni varie; gli esami richiesti sono aspecifici e non dirimenti, del tutto inutili.

La diagnosi di certezza deriva dall’esame di immunofluorescenza diretta eseguita su biopsia di una lesione, che rivela la presenza di depositi di Immunoglobuline (soprattutto IgG) e di Complemento a livello degli spazi intercellulari dell’epidermide.

Nel siero si dimostra la presenza degli Anticorpi specifici con l’esame di Immunofluorescenza indiretta e soprattutto con l’ELISA ed eventualmente l’immunoblotting e l’immunoprecipazione, che rivelano la presenza di questi anticorpi contro la Desmogleina 1, 3 (tipiche del pemfigo cutaneo e mucosale) e altri antigeni (envoplakina e periplakina e/o macroglobuline alfa-2 simili), che si riscontrano nel Pemfigo paraneoplastico.

In molti casi il livello (titolo) degli anticorpi correla con l’estensione e la gravità della malattia e quindi può rappresentarne un indice di attività e una guida terapeutica utile, naturalmente assieme al quadro clinico. Pertanto il dosaggio degli anticorpi è utile per monitorare il decorso della malattia, l’efficacia delle terapie, specie nei trattamenti protratti, che a volte richiedono associazione farmacologiche.

Terapie del Pemfigo

Va premesso che le indicazione delle linee guida NON sono leggi da seguire in modo acritico; ma vanno applicate dopo un’attenta valutazione della situazione clinica generale e specifica cutaneo-mucosa del singolo paziente.

Il cortisone per via sistemica rappresenta la terapia elettiva del pemfigo; la dose iniziale da somministrare dipende dalla gravità/estensione della forma: nel pemfigo volgare la dose media iniziale è da 0.5 a 1.5 mg di prednisone/die (ma in certe situazioni cliniche dosi molto più elevate, i boli, sono preferibili) sino a miglioramento sostanziale della sintomatologia (meglio la sua scomparsa).

La riduzione della posologia deve avvenire lentamente e progressivamente, per mantenere e migliorare i risultati raggiunti (dosando periodicamente anche il titolo anticorpale), considerando con attenzione gli effetti collaterali (come infezioni, osteoporosi, miopatie, diabete mellito), prevenendoli (ove possibile), limitandone la gravità e correggendoli. Esiste alla fine una dose minima, soglia, del cortisone, sotto la quale spesso non è possibile scendere; ma talmente bassa che non induce effetti collaterali dannosi.

La questione aperta rimane quella delle terapie immunosoppressive. Queste hanno il compito di migliorare la risposta terapeutica (se insufficiente con il solo cortisone), permettendo la riduzione della dose di steroide, riducendone gli effetti collaterali. Negli anni sono stati molti i trattamenti suggeriti; oggi abbiamo raccolto delle casistiche sufficientemente ampie, anche se con studi che non sempre rispondono ai criteri di omogeneità richiesti per valutazioni definitive.

I farmaci sono l’Azatioprima e il Micofenolato di Mofetile, che rappresentano la prima linea di adiuvanti, le Immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa, la plasmaferesi (immunoassorbimento) e il Rituximab, che rappresentano la seconda linea assieme alla ciclofosfamide e il methotrexato.

La scelta della terapia adiuvante si basa molto sull’esperienza dei dermatologi e dei centri dermatologici.

Certamente il farmaco che ha registrato l’attenzione maggiore è il Rituximab, che appartiene alla generazione dei farmaci “Biotecnologici”, anticorpo monoclonale anti CD20, che blocca la produzione degli anticorpi antiPemfigo.

E’ opinione crescente che Rituximab non solo permetta di ridurre la dose di cortisone per controllare il pemfigo e quindi debba essere usato “a sostegno” della terapia steroidea; ma possa essere somministrato come farmaco di prima scelta nel trattamento della malattia. Il protrarsi a lungo di assenza di lesioni dopo cicli di Rituximab è risultato di grande rilievo.

Come tutti i farmaci biotecnologici, il Rituximab è per il momento prescrivibile in Italia solamente da Centri Ospedalieri, previa autorizzazione delle commissioni e organismi competenti. Questo aspetto è in discussione in altri Paesi della UE ed è ragionevole pensare che entro l’anno ci possano essere modificazioni della legislazione in atto ed i pazienti possano aver accesso più rapidamente a Rituximab.

Una nuova generazione di farmaci biotecnologici, simili al Rituximab, (capaci di agire anche sulle cellule B20 e inibire la produzione di anticorpi antidesmogleina), di recente introduzione come il Belimumab, approvato anche in Italia per il trattamento di un’altra malattia autoimmune, il LES, oppure il Veltuzumab, l’Obinutuzumab, l’Ofatumumab e l’Ocaratuzumab potrebbe rivelarsi molto utile nella cura del Pemfigo (e di altre malattie bollose autoimmuni) e aprire nuove speranze ai pazienti.

Per verificare queste speranze, occorrono trials clinici su ampi gruppi di pazienti, provenienti da tutta Italia e possibilmente da tutti i paesi europei e seguiti con protocolli comuni e internazionalmente riconosciuti, concordati con le autorità di controllo, che autorizzano l’uso di tali farmaci.

Questi sono compiti delle società scientifiche e delle organizzazioni dei pazienti.

Nuove conoscenze sulla Dermatite Seborroica

Nel corso del 2016 sono comparse su riviste dermatologiche di buon rilievo delle pubblicazioni di revisione sistematica della Dermatite Seborroica, che permettono alcuni aggiornamenti su aspetti con ricadute pratiche di importanza rilevante, quali la clinica, l’evoluzione, le cause della malattie e soprattutto la terapia.

Consentono anche al clinico “esperto” di formulare delle valutazioni sul rapporto con il paziente, sull’opportunità di una visione complessiva (oltre la pelle) della malattia e sulla flessibilità delle indicazioni terapeutiche.

I dati si basano su grandi raccolte di dati (databases), sostanzialmente omogenee da poter essere valutate comparativamente. Oltre 50 studi con più di 9.000 pazienti, a conferma dell’elevata frequenza della malattia: 11% della popolazione generale, con il 3% circa che si rivolge al medico per richiesta di trattamento per l’estensione, acuzie della forma clinica e per le frequenti recidive dell’eruzione.

Cause della malattia

La Dermatite Seborroica è causata da una serie di fattori, come la:

  • colonizzazione fungina delle zone colpite
  • attività delle ghiandole sebacee
  • integrità della barriera epidermica
  • la risposta immunitaria
  • fattori neurogenici
  • stress emozionali
  • intolleranze a farmaci.

I funghi lipofili del genere Malassezia (M.) e in particolare della M. Globosa e Restricta, che sono presenti normalmente nelle regioni seborroiche del corpo umano, si riscontrano in concentrazioni più elevate nelle zone colpite dalla Dermatite Seborroica.

L’attività lipasica dellla Malassezia aggredisce i trigliceridi del sebo e induce la formazione di acidi Grassi insaturi e acido Arachidonico, che alterano il normale processo di cheratinizzazione e la funzione di barriera epidermica, permettendo l’ingresso negli strati epidermici più profondi dei lieviti e dei suoi metaboliti infiammatori, responsabili di una reazione flogistica locale, favorita anche da citochine proinfiammatorie che si liberano dai cheratinociti.

A ciò, sempre attraverso l’ac. Arachidonico, si aggiunge anche l’azione delle prostaglandine capaci di causare una infiammazione più prolungata.

Inoltre è stato dimostrata con nuove tecnologie una concentrazione più elevata di alcuni germi del microbiota batterico (Acinobacter, Stafilococco e Streptococco) nella cute lesa, capaci di idrolizzare il sebo e quindi contribuire alla genesi della Dermatite Seborroica.

Il processo infiammatorio è sostenuto da Linfociti T, macrofagi e da citochine infiammatorie.

Non è casuale che la Dermatite Seborroica si manifesti frequentemente e con quadri clinici decisamente più severi nei pazienti con HIV/AIDS (caratterizzato da una grave immunodepressione), in oltre il 50% dei malati.

Considerazioni dello stesso genere, a testimonianza del ruolo di altri fattori, come quelli neurogenici, si possono fare per i pazienti con Dermatite Seborroica (e seborrea) nella malattia di Parkinson o altre sindromi neurologiche, caratterizzate da immobilità facciale e accumulo di sebo (come ad es. nell’Alzheimer, nella siringomielia), oppure per pazienti trattati con farmaci neurolettici, che manifestano una sindrome Parkinson-simile.

Va anche ricordato che la Dermatite Seborroica si manifesta o riacutizza nelle sindromi depressive e dopo stress emozionali, come verificato nelle truppe da combattimento.

Curiosa è la situazione del miglioramento della malattia in casi che si espongono al sole e il peggioramento della stessa in guide alpine o dopo terapia con raggi Ultravioletti A o in soggetti che lavorano a lungo davanti a videoterminali.

Un vasto numero di farmaci, oltre i neurolettici prima ricordati, può scatenare la malattia o riacutizzarla: pertanto la raccolta dei dati anamnestici (il colloquio con il paziente e richieste di informazioni mirate) è fondamentale per inquadrare il problema e proporre soluzioni complete.

Terapia della Dermatite Seborroica

Dalle revisioni sistematiche si riafferma che la terapia della Dermatite Seborroica è prevalentemente locale e che il ricorso a farmaci sistemici si deve limitare a forme estese e resistenti alle terapie topiche o con andamento caratterizzato da frequenti ricorrenze.

I cortisonici topici devono essere usati nelle fasi acute della malattia e per brevi periodi di tempo.

Quale tipo di cortisone?

Solo in Italia esistono oltre 100 preparazioni topiche contenenti cortisone, di diversa potenza terapeutica (da I a IV classe) e con diversi eccipienti. I cortisonici potenti, se usati continuativamente per lunghi periodi di tempo, danno luogo ad effetti collaterali locali (rarissimamente sistemici); i cortisonici deboli, applicati su lesioni altamente infiammate e eventualmente essudanti, richiedono tempi prolungati, prima di manifestare la loro attività. Naturalmente la concentrazione del principio attivo gioca un ruolo fondamentale nella maggiore/minore attività antinfiammatoria.

La preparazione farmaceutica: crema idrofoba e idrofila, unguento, lozione, mousse è fondamentale per la decisione terapeutica in funzione della sede cutanea (es.cuoio capelluto) o il tipo di lesione (secca, essudante). Ottenuta la remissione, occorre valutare la riduzione della posologia, per prevenire effetti di rebound.

La Dermatite Seborroica del cuoio capelluto si giova di shampoo/lozioni a base di antimicotici, come il solfuro di selenio, piritione di zinzo, o imidazolo, bifonazolo, ciclopiroxolamina, ma anche di catrame, di acido salicilico e di cortisone, talora miscelati tra di loro.

Anche immunomodulanti come il Pimecrolimus e il Tacrolimus si dimostrano efficaci, specie nelle terapie a lungo termine. Alti livelli di efficacia raggiungono anche gli antimicotici topici, in particolare la ciclopiroxolamina, il ketoconazolo, il bifonazolo e il litio (sia gluconato che succinato).

La somministrazione di antimicotici sistemici va riservata a casi complessi e soprattutto ricorrenti e resistenti alle sole terapie locali; in alcuni casi la somministrazione per alcuni giorni al mese evita le recidive.

Raccomandazioni particolari

I problemi concreti che si pongono al paziente riguardano soprattutto l’aderenza terapeutica. Come per tutte le patologie “croniche” e/o “ricorrenti” la tendenza a non medicarsi con regolarità o a seguire scrupolosamente le prescrizioni del medico rappresenta un concreto ostacolo al successo terapeutico.

Non è infrequente che ciò sia dovuto ad episodi di irritazione o a riacutizzazioni non legate ad inefficacia del farmaco, ma a sopravvenuti fattori di scatenamento/peggioramento, ad esempio per stress emotivi, che spingono il paziente a cambiare la cura o non seguirla correttamente. Da qui la necessità di un colloquio regolare, intervallare tra medico e paziente per affrontare questi momenti di crisi, riacquistare la fiducia e reinstallare la terapia, corredato se possibile da una documentazione fotografica, che permetta di ragionare insieme sull’accaduto (teledermatologia).

Da parte del clinico, se è vero che nella grande maggioranza dei casi la diagnosi di Dermatite Seborroica non pone per sé grandi problemi, la valutazione delle alternative diagnostiche va valutata con scrupolo e vanno studiate le cause che inducono la malattia.

Ad esempio nel lattante va esclusa la possibilità che coesista una Dermatite Atopica (che in oltre la metà dei casi compare dopo un certo numero di mesi dall’esordio) o una Dermatite irritativa (frequente nelle regioni del pannolino).

Nell’adulto può coesistere una Psoriasi (Sebo-Psoriasi) o in realtà la Psoriasi si presenta come una Dermatite Seborroica oppure la dermatite è in realtà una Dermatite Atopica o da contatto.

La relativa facilità di sviluppare sensibilizzazioni verso i componenti delle creme usate deve essere ben presente e la definizione di una possibile sensibilizzazione va valutata con i opportuni test allergologici (Patch test).

Alcune localizzazioni della malattia, particolarmente insidiose e fastidiose, come quella alle palpebre (blefarite seborroica) vanno riconosciute, poste in diagnosi differenziale con forme di rosacea o di dermatite atopica e trattate con attenzione.

Analoghe considerazioni per le localizzazioni ai genitali esterni, in cui il prurito accessionale può essere particolarmente fastidioso e possono complicarsi per sovrinfezione da Candida.

In conclusione

Le nuove conoscenze sulla malattia, unitamente alla conferma di dati acquisiti, permettono di adattare al singolo caso clinico una serie di indagini e valutazioni per una proposta terapeutica completa, razionale e flessibile, concordata con il paziente.

Dermatite seborroica

La dermatite seborroica è una patologia infiammatoria caratterizzata da macule (macchie) eritematose, a margini irregolari, mal definite, ricoperte da squame giallo-grigiastre, grasse, larghe, untuose oppure bianche e di piccola taglia, localizzate caratteristicamente al cuoio capelluto, regione presternale, interscapolare, pliche naso-labiali, sopracciglia, ciglia e palpebre.

In genere è presente prurito di modica entità, ma in alcuni casi può essere particolarmente intenso. Nella maggior parte dei casi l’eruzione cutanea dura pochi giorni, ma tende a recidivare con facilità, sino a diventare una forma cronica.

dermatite seborroica

Epidemiologia

La dermatite seborroica può colpire pazienti di ogni età: dai primi mesi di vita alla vecchiaia; negli adulti il picco massimo si raggiunge tra i 30 e 60 anni. La prevalenza nella popolazione generale varia dal’1 al 3%, arrivando al 3-5% nei giovani adulti, con lieve prevalenza tra i maschi.

Ha un andamento ricorrente, con recrudescenze autunno-invernali e remissioni estive. Le recidive sono spesso assai ravvicinate con 2-3 episodi in un mese.

Forme cliniche

Nell’adulto si riconoscono numerose forme cliniche: eczematide seborroica, dermatite seborroica del volto, del cuoio capelluto e del tronco, dermatite seborroica intertriginosa, varietà disseminata sino all’eritrodermia.

Spesso peculiare la presentazione clinica della Dermatite seborroica del viso nell’adulto. Le localizzazioni prevalenti sono i solchi naso labiali con estensione asimmetrica alle guance, le sopracciglia, la conca auricolare, il bordo anteriore del cuoio capelluto e talora la regione preauricolare. Spesso la dermatite si nasconde sotto la barba e sotto i capelli: si attenua con la rasatura e indietreggia con il progredire della calvizie. Peggiora sotto condizioni stressanti e in periodi caldo-umidi.

Al tronco si presenta soprattutto in regione presternale e interscapolare, peggiora al contatto con indumenti di lana, tanto è che nel passato questa forma clinica veniva decritta come Eczema flagellare.

In non pochi casi l’aspetto clinico della dermatite seborroica è difficilmente distinguibile dalla psoriasi: sebopsoriasi o psoriasi seborroica (particolarmente al cuoio capelluto). Anche la distinzione con la Dermatite Atopica non è facile: spesso è associata a una diatesi atopica, che ne condiziona l’evoluzione, che presenta recidive più ravvicinate e più resistenti alle terapie tradizionali, con episodi di irritabilità cutanea piuttosto frequenti.

Nel lattante la malattia si manifesta nei primi mesi di vita al cuoio capelluto; si può estendere alle pieghe inguinali, ascellari, laterali del collo e ai solchi retroauricolari o può localizzarsi all’area del pannolino. In casi eccezionali può interessare tutto l’ambito cutaneo, come variante eritrodermia.

Di particolare interesse, anche per l’interpretazione patogenetica sono le forme di dermatite seborroica che si manifestano in corso di AIDS e di Pakinson e altre malattie neurologiche.

Patogenesi

Originariamente si pensava che la malattia, che deve il suo nome alla localizzazione nelle aree cutanee con maggiore ricchezza e attività delle ghiandole sebacee di maggiori dimensioni, fosse dovuta ad una anomalia quali-quantitativa del sebo.

Attualmente si ritiene che il sebo giochi un ruolo permissivo nella localizzazione delle lesioni, in quanto consente il più facile sviluppo dei lieviti lipofili, come la Malassezia furfur, specie Globosa. Il peggioramento della malattia in soggetti immunocompromessi, come quelli affetti da AIDS, il miglioramento clinico dopo terapie antimicotiche sostengono l’ipotesi del ruolo essenziale della Malassezia, attualmente ampiamente condiviso. Sul piano biochimico si ritiene che gli acidi grassi liberi generati dalla M. globosa sono capaci di innescare la reazione infiammatoria.

Peraltro la sola presenza del lievito in quantità elevate non giustifica completamente la componente infiammatoria della dermatite seborroica, che è rilevata dall’esame clinico e istologico, che mostra un quadro di eczema, sia pure di modesta entità. La non rara compresenza di malattie atopiche (cutanee e respiratorie) o di markers biochimici dell’atopia (presenza di Anticorpi IgE contro gli allergeni maggiori) suggerisce la presenza di una maggiore disponibilità a sviluppare reazioni infiammatorie nei pazienti con dermatite seborroica. Anche il dato clinico di una maggiore irritabilità della cute dei pazienti sottolinea l’esistenza di una condizione proinfiammatoria cutanea. Analoghe considerazioni valgono per la copresenza di altre malattie infiammatorie, come l’atopia e la psoriasi.

Infine dati sperimentali hanno dimostrato che esistono soggetti maggiormente suscettibili all’infiammazione da metaboliti degli acidi grassi della Malassezia.

La teoria metabolica si basa sul riscontro di un deficit di delta-6 desaturasi, con elevati livelli plasmatici di acidi grassi saturi, che si ripercuoterebbe anche a livello della composizione e della funzione delle membrane dei cheratinociti, giustificando la liberazione di citochine proinfiammatorie.

Inoltre la presenza di dermatite seborroica in pazienti con malattie neurologiche, come il Parkinson, la siringomielia, l’epilessia o neuropatie successive a malattie vascolari encefaliche e la localizzazione della malattia nelle sedi di emiplegia suggeriscono l’intervento di fattori “nervosi” nella patogenesi della dermatite seborroica. A volta la malattia si presenta in pazienti con tumori respiratori e gastrointestinale, in soggetto obesi/con malattie metaboliche.

Infine il ruolo delle situazioni stressanti, soprattutto psichiche, è segnalato dalla maggior parte dei pazienti, come elemento di aggravamento della sintomatologia.

Tutto questo significa che i pazienti con Dermatite seborroica vanno studiati con attenzione.

Terapia

Il trattamento della dermatite seborroica dipende dalla fase clinica (acuta/subacuta/ricorrente) e dalla localizzazione.

  • La fase acuta della malattia, specialmente delle localizzazioni alla cute glabra, è affrontata con steroidi topici, talora in associazione con cheratolitici, o con immunomodulatori topici, come il Tacrolimus e il Pimecrolimus.
  • Il decorso ricorrente della malattia viene ostacolato con antimicotici topici, talvolta sistemici, in generale imidazolici e in particolare il ketoconazolo, somministrati una volta al giorno per 7-10 giorni consecutivi e 2-3 giorni al mese per prevenire le recidive. Il trattamento è solo parzialmente soddisfacente.

In alcuni casi la isotretiniona si dimostra efficace, come anche la fototerapia con Ultravioletti B a banda stretta.

Nuove conoscenze

Nel corso del 2016 sono comparse su riviste dermatologiche di buon rilievo delle pubblicazioni di revisione sistematica della Dermatite Seborroica, che permettono alcuni aggiornamenti su aspetti con ricadute pratiche di importanza rilevante, quali la clinica, l’evoluzione, le cause della malattie e soprattutto la terapia: qui è disponibile un aggiornamento sulla malattia.

La terapia del Pemfigo

pemfigo cura

In chi ha una lunga esperienza clinica c’è sempre il ricordo di casi drammatici di Pemfigo, non controllati dalle terapie, con gravi sofferenze quotidiane e una qualità di vita pessima. Scarsa efficacia delle cure, molti effetti collaterali e profonda frustrazione anche dei medici.

La depressione che inevitabilmente colpiva i pazienti culminava talvolta con casi di suicidio, come mi è capitato di osservare nel Policlinico di Pavia, in cui lavoravo nei primi anni della mia carriera. Ed è un racconto altrettanto vivissimo quello di colleghi più anziani, che ricordavano un prete, ammalato da anni di una grave forma di pemfigo vegetante, che venne trovato festante nel bagno dell’Ospedale, mentre gridava al miracolo per gli spettacolari miglioramenti che gli aveva indotto la somministrazione di alte dosi di un cortisonico fluorurato (molto efficace), arrivato dagli USA e non ancora disponibile in Europa.

Sono stato nel 1971 visiting Professor al Laboratorio di Immunopatologia della Clinica Dermatologica di Amsterdam, uno dei Centri mondiali per lo studio delle malattie autoimmuni della pelle, dove ho collaborato con gli scopritori degli anticorpi che causano il Pemfigo. Ho continuato a studiare la malattia direttamente e attraverso i miei allievi, che si sono dedicati a ricerche molecolari approfondite. Ho maturato la convinzione che anche per curare bene il pemfigo, occorre essere costantemente aggiornati e aver collezionato una grande esperienza, anche attraverso trials clinici internazionali, che permetta di personalizzare le terapie nel rispetto critico delle linee guida internazionali.

Com’è la situazione oggi? Si può essere più ottimisti di fronte ad una malattia così grave?

La risposta è sì: oggi possiamo fare diagnosi precoci, precise e disponiamo di diversi farmaci, che sapientemente usati, permettono di affrontare con ragionevole ottimismo il Pemfigo.

Ma cos’è il Pemfigo? Due informazioni essenziali

Con il termine di Pemfigo (derivato dal greco pemfix: bolla) si definiscono un gruppo di malattie “autoimmuni”, che possono colpire la cute e alcune delle mucose degli epiteli pluristratificati (cavo orale, congiuntiva, mucosa nasale, mucose genitali esterne: glande, lamina interna del prepuzio, vulva e vagina, faringe, laringe ed esofago).

Le bolle che costituiscono la lesione caratteristica (elementare) del pemfigo si rompono e lasciano una abrasione dolorosa, con un odore sgradevole, di difficile guarigione, che tende ad estendersi per scollamento alla periferia. Le lesioni si possono trovare su tutto il corpo e colpire estensivamente le mucose sopra ricordate, rendendo ad esempio molto dolorosa e difficile l’alimentazione.

Le bolle si formano per azione di autoanticorpi che sono diretti contro le molecole di adesione tra le cellule, che garantiscono la compattezza, la coesione della epidermide e delle mucose. Le principali di queste molecole si chiamano Desmogleine 1 e 3. Gli autoanticorpi distruggono queste molecole, le cellule si distaccano l’una dall’altra, formando così la bolla e l’abrasione.

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I tumori della pelle e la Cheratosi attinica

cheratosi attinica

Il più frequente tumore della pelle è la Cheratosi attinica, chiamata anche Cheratosi solare o Cheratosi senile, ad indicare le caratteristiche cliniche (cheratosi), il fattore causale (esposizione ai raggi solari) e il dato epidemiologico più rilevante (la malattia colpisce le persone anziane).

Si stima che in Europa e negli USA le cheratosi attiniche colpiscano dall’11 al 25% della popolazione generale e che tale percentuale raggiunga il 60% in Australia nelle persone oltre i 40 anni. Per questo si parla delle cheratosi attiniche come di una particolare forma di epidemia.

Questo tipo di tumore interessa lo strato più superficiale della pelle: l’epidermide. Nell’epidermide rimane confinato, ma se non è trattato adeguatamente, nel 10-20% dei casi si trasforma in una decina d’anni in un Carcinoma squamocellulare invasivo.

Le cheratosi attiniche sono causate dall’eccessiva esposizione prolungata, cronica, ai raggi solari e quindi si riscontrano nelle zone cutanee più foto esposte, cioè il viso (dorso del naso, orecchio esterno, fronte, zigomi e guance), il dorso delle mani, ma anche il 1/3 superiore del tronco.

Anche il cuoio capelluto, nelle aree alopeciche e quindi non protette dai capelli, è quasi sempre colpito dalle cheratosi senili.

Il labbro inferiore, il più colpito dalle radiazioni solari, è anch’esso frequentemente interessato (chieilite attinica).

Le cheratosi attincihe insorgono su una cute con danni cronici da esposizione solare (foto-invecchiamento), prevalentemente in soggetti con pelle chiara (fototipo basso), in cui i danni del foto-invecchiamento (in particolare le rughe, le lentiggini senili) compaiono più precocemente e in modo più rilevante per la riduzione del pigmento scuro, la melanina e di conseguenza dei meccanismi di fotoprotezione.

Non è casuale che i soggetti albini sviluppino cheratosi attiniche e carcinomi in grande quantità, così come avviene nei pazienti con una malattia genetica, lo xeroderma pigmentoso, caratterizzata da alterazioni dei meccanismi di riparazione del DNA cellulare, che è proprio uno dei bersagli dei Raggi UV. E non è casuale che le cheratosi attiniche siano molto frequenti e più aggressive nei soggetti che sono stati sottoposti a trapianto d’organo e sono in terapia immunosoppressiva, per prevenire il rigetto dell’organo trapiantato.

La fascia d’età in cui compaiono le cheratosi attiniche è oltre i 60 anni, ma in Australia è più precoce, dopo i 40 anni, a sottolineare l’importanza dell’intensità delle radiazioni solari e del fototipo chiaro.

Come si presentano le cheratosi solari

cheratosi solare

Sono lesioni multiple (a volte molto numerose, oltre una decina), di piccole dimensioni, da qualche millimetro a 1-2 centimetri, di colore grigio-rosa, con margini lievemente sfumati, modicamente rilevate, con squame di piccole dimensioni, bianco-grigiastre, ben aderenti alla pelle e perciò non facilmente asportabili con il grattamento superficiale, che conferiscono alle lesioni un aspetto modicamente rugoso.

E’ proprio questa ultima caratteristica che permette anche al paziente di riconoscerle non solo visivamente, ma anche alla alla palpazione, strisciando il polpastrello del dito della mano sulla pelle, che riconosce facilmente il passaggio dalla zona sana, liscia a quella malata, rugosa appunto.

Qualche volta le squame sono più numerose e stratificate, conferendo alle lesioni un aspetto verrucoso, qualche altra volta il colore delle lesioni è più scuro (variante pigmentata), così da favorire la confusione con le cheratosi seborroiche, altre frequenti lesioni della cute dell’anziano, di tutt’altra natura, benigne e con solo carattere di tipo inestetico (peraltro a volte francamente disturbante).

Le lesioni della cheilite attinica del labbro inferiore si presentano come aree sottili, lucenti, con fine desquamazione superficiale, talora verrucosa o con piccole erosioni.

Come si riconoscono

La clinica ne permette il riconoscimento con facilità. Le tecniche di diagnostica per immagini: dermatoscopia e la microscopia laser confocale in vivo permettono la conferma clinica e aiutano a definire i margini della lesione da trattare, il cosiddetto campo di cancerizzazione, su cui andrà diretta la terapia da non limitare strettamente alla lesione.

Come si curano le cheratosi solari

La terapia elettiva rimane la crioterapia con Azoto liquido. Se opportunamente praticata, consente di ottenere risoluzione delle lesioni, con un trascurabile tasso di recidive.

La distruzione delle lesioni, in numero limitato, con diatermocoagulazione con bisturi elettrico e con Laser, prevalentemente CO2, è anch’essa efficace.

Di buona efficacia si è dimostrata anche la terapia fotodinamica.

Certamente utili sono i trattamenti con creme antitumorali, come il 5-fluorouracile o immunostimolanti, come l’Imiquimod, il diclofenac e, del tutto recentemente l’Ingenol Mebutato in gel, dotato di capacità citotossiche e infiammatorie/immunostimolanti.

Una particolare attenzione va riservata alla terapia della cheilite attinica per la frequenza delle recidive e la maggiore facilità alla trasformazione in Carcinoma aggressivo.

Altrettanto importante è la prevenzione con un programma costante e adeguato di foto protezione, particolarmente nei soggetti a rischio elevato.

Indispensabile è il controllo periodico, ad intervalli di tempo variabili da alcuni mesi a 1 anno per il monitoraggio delle aree a rischio e il trattamento precoce delle lesioni nuove.

Dermatologia: basata sulle evidenze scientifiche e sull’opinione del paziente

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Aprire un dialogo con i pazienti o i curiosi di malattie della pelle e della funzione e della biologia della cute è relativamente semplice, ma anche molto intrigante.

Le informazioni/i consigli che possiamo offrire devono tener conto delle conoscenze più profonde e aggiornate che oggi possediamo. Esse derivano dagli studi non solo dei dermatologi, ma dei ricercatori di molte altre discipline (genetisti, biochimici, biologi molecolari, oncologi, immunologi, allergologi ecc.), che permettono di capire meglio delle condizioni cliniche complicate e di affrontare con maggior successo le malattie dermatologiche.

Da tempo sappiamo che considerare la pelle semplicemente come “organo esterno” e la dermatologia come la “medicina esterna” è riduttivo e sbagliato.

Basti pensare alle connessioni, alla stretta interdipendenza tra la pelle e i sistemi di relazione e di controllo del corpo umano, come ad esempio il sistema nervoso “la cute come organo di senso”, tra pelle e reazioni immunitarie “il sistema immunitario cutaneo”, la cute e la psiche “l’io pelle”.

E’ doveroso inquadrare ogni manifestazione cutanea, fisiologica o patologica, in un quadro più generale e fornire interpretazioni e rimedi coerenti, tenendo molto ben presente l’influenza che le malattie dermatologiche hanno sulla Qualità della Vita del paziente e della sua famiglia.

In questa situazione scientificamente definita, in cui il rapporto medico/paziente si è da tempo definito in un modo “moderno e maturo”, in cui le informazioni viaggiano rapidamente attraverso la rete, anche per la dermatologia valgono le seguenti regole auree di comportamento:

  1. la nostra vera proprietà è il sapere (un vecchio saggio siciliano, parafrasando Karl Marx)
  2. la dermatologia (come tutta la medicina), in particolare la terapia è basata sulle evidenze scientifiche (evidence based medicine); ma deve anche essere basata sull’opinione del paziente (patient based medicine), con il quale vanno discussi i piani di cura
  3. il primo dovere di un medico è chiedere scusa al paziente (dal film del 1958 di Ingmar Bergman: Il posto delle fragole), a significare che occorre sempre un grande impegno etico e scientifico.

La rosacea

Novità nelle cure della “faccia rossa”.

Sono ben note da tempo le caratteristiche generali di questa malattia dermatologica, caratterizzata da gravi inestetismi e sensazioni molto fastidiose:

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  • la rosacea colpisce il 10% della popolazione generale, prevalentemente le donne, di età superiore ai 40 anni;
  • la malattia si localizza alla parte centrale del viso, colpendo in modo simmetrico le guance, il naso (soprattutto la metà inferiore), la fronte, le palpebre e risparmiando la cute periorale;
  • inizialmente la rosacea si presenta con episodi di eritema (arrossamenti) transitorio, accompagnati da una fastidiosa sensazione di calore, indotti da sbalzi termici, ingestione di bevande alcooliche o calde;
  • in seguito l’eritema diviene più persistente, si accompagna ad un modico gonfiore, spesso localizzato alle palpebre;
  • infine compaiono le teleangectasie (capillari dilatati): eritema e teleangectasie conferiscono l’ aspetto rubizzo particolarmente fastidioso della “rosacea vascolare”;
  • in genere in una fase successiva compaiono sempre a gittate dei “foruncoli”: papule-pustole, in genere isolati, sulle aree infiammate “rosacea infiammatoria”;
  • infine nella fase più tardiva si assiste al cosiddetto fima, un ingrandimento a volte molto accentuato e caratteristico del naso, più marcato nella parte inferiore, alle narici, per un aumento delle dimensioni delle ghiandole sebacee e del connettivo dermico “rosacea fimatosa”.

Nel 50% dei pazienti si associa un interessamento dell’occhio “rosacea oftalmica”: infiammazione della congiuntiva, delle palpebre e formazione di calazi (sorta di foruncoli) , con sensazione di secchezza, prurito e intolleranza alla luce solare.

Nel corso degli anni si è sostenuto che la rosacea fosse dovuta a numerosi fattori: infettivi cutanei (Demodex folliculorum); gastrici (Helicobacter pylori), dietetici, farmacologici (certamente l’uso prolungato di pomate cortisoniche favorisce la comparsa/peggioramento della malattia), anomalie vascolari.

Recentemente sono stati evidenziate le molecole infiammatorie che sono maggiormente implicate nella malattia.

Sul piano terapeutico la rosacea viene combattuta con cure differenti a seconda della fase clinica: nella fase papulo-pustolosa si impiegano farmaci locali, soprattutto il metronidazolo e l’acido azelaico, mentre nei casi più resistenti si impiegano antibiotici (tetracicline, minociclina) a basso dosaggio, la fase tardiva del rinofima si aggredisce chirurgicamente e/o con il Laser CO2 , mentre le teleangectasie si eliminano con il Laser pulsato.

Nessun risultato positivo si era conseguito sino ad oggi per la fase iniziale eritematosa. Uno studio pubblicato recentemente e presentato agli inizi di Marzo al congresso americano di dermatologia evidenzia gli ottimi risultati ottenuti con un gel allo 0.5% di Brominidina Tartrato, capace di bloccare i recettori alfa-2 adrenergic dei capillari, agendo come un vasocostrittore. Gli studi hanno permesso di verificare che l’eritema diminuisce/scompare dopo 30′ dalla applicazione; il gel è ben tollerato e non provoca sostanziali alcun effetti nocivi. Lo studio è stato condotto su un notevole numero di pazienti trattati per 4 settimane.

E’ la prima volta che un trattamento si dimostra utile nella fase iniziale, molto fastidiosa della malattia.